Metafisica dell’amore (F. Colaci)

Ti cerco ogni sera

fra le luci del molo,

una distesa d’acqua nera

una pelle africana

che giace supina all’orizzonte,

ondeggia calmo e silenzioso

il fluido spettrale

nel cuor della notte.

Cammino intimorito come un infante

e all’improvviso ricompari tu,

quella strana nebbiolina in fondo al porto.

Mi avvicino a te,

candida come un giglio al chiaro di luna,

i tuoi occhi affilati trafiggono il mio spirito

e rimembrano quanto ti sia vulnerabile.

Agiti giocosamente, nell’acqua, le tue snelle gambe,

arricci il naso con fare sensuale,

un’innocenza primordiale.

S’alza in piedi quest’innocenza,

si fa donna maliziosa,

mi rende schiavo del suo dolce viso.

I capelli corvini mi avvinghiano

come morbide catene d’amore,

narrano d’un’antica essenza di fiori e salsedine.

Mordi vogliosamente il rosso mela delle tue labbra,

in punta di piedi estingui il raziocinio,

negato da un bacio profondo,

surreale densità, ectoplasmatico sapore.

S’allontana lei, d’un tratto, bruscamente,

sorride malinconica, una lacrima piove dai suoi occhi,

una fresca rugiada spazzata via dal vento,

mi guarda, un “ti amo” fugace e fugge via,

si perde l’evanescente figura nell’oscurità del molo,

ridiventa nebbia.

T’attenderò ogni notte,

come in un’altra vita,

sarò un amante dannato ma felice,

questo folle castigo è soltanto nostro,

mio dolce, metafisico amore.

 

 

 

 

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